Tra tutti gli oggetti dei nostri nonni che non sono più con noi, le loro scritture sono sicuramente tra quelli più significativi, non solo perché ricchi di pensieri, di momenti di vita, di narrazioni lontane, ma anche perché intrisi della loro “personalità” lasciataci attraverso la loro impronta grafica vergata sulla carta.
A me è rimasto, tra i ricordi della nonna, uno straordinario quaderno di ricette (se ne contano quasi un centinaio) a cui sono state aggiunte alcune “chicche” di popolare memoria Langarola di cui mi fa piacere oggi scrivere … bene, allacciatevi il grembiule che partiamo per questo inedito viaggio attraverso i sapori delle tradizioni di una volta (non so se sia tutta farina del suo sacco quello che ha trascritto, ma noi rispetteremo i segreti della cuoca come da consuetudine).
“Il carattere delle più squisite pietanze piemontesi è quello della loro immobilità topografica, devono essere cucinate ed assaggiate ognuna nel suo paese di origine, ciascuna nel ristretto e ben definito territorio delle cittadine dove sono state inventate ed il vino che si deve bere sopra è solo il vino del luogo. Viaggiando qua e là nelle pieghe delle Langhe, del Monferrato, su e giù per le innumerevoli valli, verso il Cuneese, il Canavese, nella Val di Susa o nella Val di Lanzo, si scopre poco a poco che la stessa ricetta subisce incredibili varianti.
La famosa bagna cauda, per esempio, nel Monferrato si prepara con aglio trattato in infusioni di latte, nell’Albese si pesta nel mortaio, in altre zone nemmeno poi tanto remote, all’aglio, all’olio, al burro e alle acciughe, si aggiunge un bel bicchiere di Barbera.
I ghersin (i grissini) lunghi un metro e mezzo, sottilissimi, gustosissimi, croccanti, inventati sul finire del XVII secolo dal fornaio torinese Antonio Brunero, si fanno ancora soltanto a Torino, nel centro storico, si preparano ancora a mano e richiedono un annoso addestramento; tutti gli altri grissini non sono che rozze e goffe insipide repliche.
I peperoni senza rivali si coltivano a Carmagnola, gli asparagi supremi a Santena, i gianduiotti sono principalmente torinesi, i turcetin di Rivoli, le paste d’melia (i biscotti di granturco) gialle, rotonde, rigate da solchi concentrici, incantevoli nella loro modestia, divorabili all’infinito, si infornano a Germagano in Val di Lanzo.
E per finire, dal Menù dell’antica tradizione piemontese, sua maestà l’illustre merenda sinoira di Pasquetta: torta di riso, pane e salame, pane e acciughe, uova sode con insalatina, carne cruda, costine alla brace, torta di nocciole“.
Ho scatenato più il vostro appetito o la curiosità di cercare nella cassapanca della nonna il suo quaderno di ricette? #chitrovaunascritturatrovauntesoro
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