“Le affascinanti immagini della natura nelle grotte dell’Europa meridionale costituiscono le primissime rappresentazioni di fantasia elaborate dalla nostra specie e giunte fino a noi.
I cavalli al galoppo e l’ondeggiare del bisonte creati dagli artisti del Paleolitico di 40.000 anni fa sono evidentemente sé stessi, tuttavia paiono alludere a sfuggenti nozioni astratte: forme simboliche, l’energia del movimento e della creazione, forse un mondo al di là di quello reale.
La cosa curiosa, se si considera come sarebbe proliferata nei millenni a venire la raffigurazione delle piante, è la scarsità di immagini relative al mondo vegetale, nonché la loro vaghezza. Le creature dipinte sulle pareti delle grotte o intagliate nelle ossa sono in larga misura immediatamente riconoscibili come animali.
Esiste ancora una manciata di immagini che presentano ramificazioni indistinte associabili alle piante, tuttavia io ho visto soltanto una raffigurazione davvero convincente di un fiore specifico, potenzialmente identificabile.
Su un osso rinvenuto nella grotta di Fontarnaud, nella Gironda, risalente al 15.000 a. C. circa, davanti alla testa di una renna si innalza, come un albero di maggio in miniatura, un ramoscello cui sono appesi quattro fiori a forma di campanella. I fiori assomigliano anche a lanterne, stretti e tagliati a V all’orlo, con gli steli che protendono il peduncolo in ordine alternato.
Gli artisti del Paleolitico utilizzavano metafore a profusione. I triangoli pubici scuri rappresentavano le donne e probabilmente l’idea della creazione. Gli incisori sfruttavano la curvatura naturale delle pareti delle grotte per evidenziare il ventre tondo degli animali e per dar loro l’illusione del movimento nella luce tremolante.
L’abitudine a vedere somiglianze e analogie è stato un tratto determinante della nostra specie si da quando, 40.000 anni fa, nelle grotte nacque la cosiddetta mente moderna. Forse si tratta semplicemente del prodotto di un singolo artista che ha riempito lo spazio vuoto sull’ennesimo osso da intaglio.
L’arte rupestre è quasi totalmente dedicata agli animali, dei quali tuttavia non si vede l’habitat. Il bisonte di Lascaux cammina sull’aria, i tarpan selvatici dello straordinario pannello dei cavalli della grotta Chauvet, risalente a 35.000 anni fa, dilatano le narici e nitriscono, ma non pascolano mai. Ci sono in abbondanza animali di cui si cibava, ma mai piante.
Fin da quando, alla fine del XIX secolo furono scoperti i primi esempi di arte rupestre, si sono diffuse teorie riguardanti il suo significato; in età vittoriana, la si liquidò come un insieme di scarabocchi, o come l’opera di imitatori dotati ma privi di coscienza artistica.
Oggi, dalla semplice osservazione di queste immagini emerge un dato incontestabile: i loro creatori erano artisti, esattamente nel senso che attribuiamo noi al termine. La loro opera mostra vivacemente tutte le emozioni collegate all’atto della realizzazione e della contemplazione delle immagini: la meraviglia, l’amore, la paura, il divertimento, la celebrazione della vita, la soddisfazione per l’impresa creativa.
La mentalità del Paleolitico era la mentalità moderna in embrione.”
Fonte “Il più grande spettacolo del mondo” – R. Mabey
Grazie, il tuo passaggio sul blog è per me un grande piacere – Gennaio ’23