Alfabeto armeno, il mio viaggio

le preziose miniature conservate nel museo di Yerevan
Silvana Piatti
I preziosi manoscritti conservati nel museo di Yerevan

Chi studia paleografia non può non entrare in contatto, prima o poi nella vita, con l’Armenia a cui si deve un contributo importantissimo alla conservazione di testi antichi e ad un altro caposaldo della propria identità culturale: il suo misterioso alfabeto.

Nulla più di una lingua può definire i contorni di un Paese e poter leggere un testo sacro nella propria lingua è un’evidente dichiarazione di appartenenza ad un popolo e ad una cultura, così come lo è poter tramandare in forma scritta narrazioni e storie lasciate alla diffusione orale.

La trasmissione della lingua e l’invenzione dell’alfabeto armeno si devono alla straordinaria figura di Mesrop Masthots, monaco che a cavallo tra il IV e V secolo, periodo in cui l’Armenia fu smembrata tra l’Impero persiano e quello bizantino, divenne segretario personale del sovrano Cosroe III.

Quando nel 394 salì al trono Vramshapuh, Mesrop iniziò il suo viaggio di predicazione, incontrando parecchie difficoltà nel far comprendere concetti scritti in un’altra lingua (all’epoca i Vangeli circolavano soltanto in greco, persiano e siriano) e fu quindi per questo che, con il sostegno del re, iniziò un elaborato lavoro di trascrizione in forma scritta dei fonemi della lingua armena che riuscì a riprodurre utilizzando 36 segni ispirati all’alfabeto greco e a cui vennero aggiunti successivamente altri 2 segni.

Ad una forma iniziale di alfabeto chiamata Erkatagir, utilizzata nei manoscritti dal V al XIII secolo ed in uso ancora oggi per le iscrizioni epigrafiche, ne fecero seguito altre 3 delle quali quella in uso comune ancora oggi è la forma di scrittura obliqua Seghagiri.

Secondo alcune fonti, Mesrop sarebbe stato anche l’artefice dell’alfabeto georgiano: questi due popoli caucasici furono accomunati dal fatto di avere ciascuno una propria lingua, un proprio alfabeto, una propria Chiesa Cristiana autocefala.

Si può quindi parlare di identità armena tirando in ballo la sua scrittura e la pregevole raccolta di manoscritti conservati presso l’imponente biblioteca Matenadaran di Yerevan, testimone dell’importanza del testo scritto nella cultura del popolo armeno: la scrittura ha contribuito a conservare la cultura del Paese nonostante le numerose e sanguinarie dominazioni susseguitesi.

La meravigliosa biblioteca ospita oltre centomila documenti dal Medioevo in poi e 18000 manoscritti tra cui anche il più caro al popolo armeno: le omelie di Mush, una raccolta di omelie composta agli inizi del XIII secolo nel monastero Avakvank e impreziosita da raffinate miniature.

Durante il genocidio avvenuto nel 1915, pur di metterlo in salvo, due donne lo divisero in due parti per poterne sopportare l’enorme peso (28 kg. e oltre un metro in altezza); una delle due parti prese la via per l’America insieme ad una delle due donne per poi ricongiungersi successivamente all’altra metà rimasta in patria … storia o leggenda?

Un altro gioiello della collezione meritevole di menzione è la più antica mappa armena, realizzata in Crimea nel XIII secolo in cui il mondo venne raffigurato come un cerchio con Gerusalemme al centro e l’Est in alto. Tra testi giuridici, manoscritti latini, greci, etiopi, ebraici, siriani e in slavo antico, si resta veramente a bocca aperta, apprezzando la sensibilità nei confronti della parola scritta grazie alla quale sono giunti ai giorni nostri rari manoscritti classici di inestimabile valore salvati da distruzione certa e sapientemente ricopiati dai monaci armeni.

incisioni in lingua armena
L’alfabeto armeno e le incisioni sacre

Tra i supporti più caratteristici in cui l’alfabeto trova sede di elezione sono le croci in pietra khatchkar ed erette presso monasteri, cimiteri, edifici, in ogni luogo significativo per il culto e la devota comunità armena; quella delle khatchkar è un’arte antichissima ed utilizzata non solo con scopi votivi e celebrativi ma anche di rappresentazione di personaggi dediti alla vita quotidiana, ad oggetti di utilizzo comune, animali e cibo.

La tradizione delle croci in pietra rimanda ad un concetto cardine della storia di questo martoriato Paese: ciò che era destinato alla consacrazione a Dio, doveva presentare caratteristiche durevoli ed evocative; oltre alla valenza artistica e simbolica, esse rappresentano oggi una sorte di archivio epigrafico narrante; le vicende della prima comunità ad aver adottato il Cristianesimo, restano scolpite in distese di pietra infisse nel suolo e sebbene moltissime furono distrutte, ancora se ne contano più di 40000 in tutto il territorio.

Viaggio in Armenia di Silvana Piatti Grafologa
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Ottobre 2024