Musa di nessuno

Leonora Carrington
La Comida de Lord Candlestick

Voglio essere ricordata come la musa di nessuno. Max Ernst ed io siamo stati definiti la coppia alchemica, lui artista surrealista appassionato di tutte le nascenti discipline psicoanalitiche, io strega pittrice cresciuta tra le braccia delle favole celtiche; considerata appartenente alla corrente freudiana del Surrealismo, voglio che di me si parli soprattutto come di una donna che ha lasciato attraverso la sua arte una incantevole traccia del mio passaggio nel mondo, di una donna libera.

Sono Leonora Carrington, nata in Inghilterra, ho amato dipingere sin da bambina tanto quanto scrivere, preparare pozioni magiche, studiare il linguaggio stregato dei tarocchi, coltivare la potenza creativa; so di non aver prodotto molto pur essendo vissuta a lungo, ma alle mie opere sono state riconosciute valenze straordinarie e la mia vita potete oggi considerarla eccezionale.

Chi ha incontrato le mie creazioni, sia quelle pittoriche che quelle letterarie, avrà assaporato la magia scaturita da una forza superiore, quella della natura, quella trasferitaci dalle leggende celtiche in cui la figura della Dea guerriera e Madre di tutte le donne, assegna al ruolo femminile il potere dell’azione e così sono cresciuta fata, almeno nella mia immaginazione, attorniata dai miei animali reali o fantastici, fedeli compagni nella vita e nelle mie opere.

Poi i viaggi, i tanti spostamenti tra l’Italia, Parigi, Londra, il Messico sino all’incontro con i grandi rappresentanti del movimento Surrealista: Breton, Dalì, Duchamp, Mirò e Max Ernst; sono stata una tra le poche donne ammesse alla ristrettissima corrente neo-nata e quell’universo mi parve subito familiare, così legato al mondo onirico, all’immaginazione, alla provocazione, ai miei inaccessibili sogni.

Ho sentito forte in me l’appartenenza al loro pensiero che rifuggiva dalla razionalità alla ricerca di soluzioni volte alla trasformazione, volendomi allontanare dal modello familiare troppo normale e castrante in cui ero cresciuta insoddisfatta: il mio incontro con Max Ernst fu un attimo di sconcertante folgorazione.

Non fu tutto così soave entrare nella vita e sulle tele di un artista surrealista: le donne restano muse anche per i nuovi occhi con cui vengono guardate, che non sono poi tanto diversi dagli sguardi stereotipati precedenti; sono stata una brava pittrice ma sono restata una donna, amante ispiratrice, oggetto del desiderio maschile; non ho potuto che rivendicare una posizione di individualità, rinunciando forse a qualcosa perché ho capito che i miei colleghi uomini non avrebbero mai riconosciuto il talento femminile a cui preferivano ben altre qualità.

Con Max vissi una vita quasi da vera surrealista, ci univano la passione amorosa, il lavoro, la politica, le frequentazioni intellettuali; lui mi offrì la vita libera che cercavo, lontana dai condizionamenti, anche se purtroppo ancora minata dalla diffidenza di mio padre che mi seguiva da lontano. Max mi amava, turbato dalla bellezza della mia giovane età. Io adoravo lui, il suo irresistibile entusiasmo con cui stava tentando di cambiare le regole del mondo. Lui mi insegnava, io imparavo. Noi ci amavamo ma io continuai a dipingere cavalli in libertà.

Seguirono anni bui, di ricoveri e internamenti, conobbi lo sconvolgimento dell’incoscienza, delle allucinazioni provocate dalla medicalizzazione, della solitudine. Ma, mentre per me fu solo sofferenza e alienazione, per i surrealisti anche la follia era una condizione da elogiare; gli stati alterati della coscienza, credetemi, non sono arte ma le psicosi divennero in ogni caso potente molla per ricominciare.

Volli mettere in atto tutto ciò che era proibito ad una donna; Max intanto era ormai lontano, arrivarono nuovi amori, il matrimonio, i figli.

Breton scrisse: la Carrington ci accompagna in fondo alla follia con un doppio sguardo, il mondo che si pretende normale con lo sguardo folle e il mondo folle con lo sguardo sobrio, munita di permesso di circolare nei due sensi.

E Leonora cosa direbbe di sè oggi? Sono stata musa contro il mio volere, troppo poco arrendevole per accettare una posizione da comprimaria, eccessivamente indomabile ed irrequieta, incomprensibilmente innamorata di creature indecifrabili gotiche e surreali, ho amato sperimentare e rischiare altre vie, alla ricerca di forze indispensabili al ribaltamento precostituito, persa in un processo di rinascita, protagonista dei miei sogni, compagna delle voci di fate.

Note bibliografiche: Amabili streghe – P. Varriale – S. Montesarchio

Novembre 2024 – Silvana Piatti Grafologa esperta in Firmologia d’Arte