Indipendentemente dall’epoca e dal luogo, tutte le culture alfabetizzate hanno utilizzato i fiori come spunto per immagini poetiche riferite a persone e ambientazioni.
Alcuni narratori e poeti apprezzano i fiori in quanto tali, mentre altri se ne servono quali metafore della fugacità del piacere, della bellezza e della vita stessa.
I fiori sono immortali, le poesie d’amore e quelle dedicate alla morte sono piene di giardini in fiore.
Le più antiche tracce di scrittura conservate fino ai giorni nostri, appartenenti all’antica civiltà sumerica, sono registrazioni di transazioni commerciali quotidiane redatte in caratteri cuneiformi incisi su tavolette in argilla, ma una eccezione c’è ed è costituita dall’ epopea di Gilgamesh, risalente a prima del 2000 a.C., la più antica opera letteraria sopravvissuta fino a noi: vi si narra del tentativo, da parte di Gilgamesh, di trovare la pianta dell’immortalità in fondo a un oceano di acqua dolce.
Il testo descrive un esemplare di pianta simile al Lycium, dotata di fiori che emanano un profumo prodigioso.
Gilgamesh trova il fiore e lo raccoglie, ma poi perde il suo tesoro, che viene divorato da un famelico serpente erbivoro.
Tratto da: La ragione dei fiori di S. Buchmann
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