Me ne fotto dell’arte

Silvana Piatti grafologa dell'Arte
Ben Vautier

e me ne fotto degli artisti, che credono di essere Dio e non sono che dei replicanti di trucchi e di astuzie, rampanti presso lo zucchero della gloria, tenuti in punta di dita dal potere

Questo è un brevissimo stralcio estrapolato da uno dei manifesti sull’arte di un grandissimo artista che, con toni provocatori, rivoluzionari e spesso sprezzanti, ci ha tanto raccontato di arte, della sua arte, dell’arte di tutti e della non arte. Sto parlando di Ben Vautier, scomparso in modo tragico da pochissimi mesi, una tra le figure più eclettiche e stravaganti del panorama artistico contemporaneo e promotore del movimento Fluxus.

Per Ben tutto è arte e tutti possono farne perché non esistono barriere nel processo di annullamento tra vita e arte, né confini netti; la sua filosofia anti-artistica gioca sul paradosso, abbatte in ogni modo possibile le convenzioni estetiche degli anni ’50, si slega dal preordinato, abbraccia un pensiero orientato alla performance e all’happening ma soprattutto si esprime attraverso la scrittura calligrafica.

Le sue opere sono testi, a volte anche di poche parole, tutte vergate in un inconfondibile corsivo dal tratto infantile, curvilineo, pastoso; la calligrafia fu il suo tratto distintivo più significativo, usata come ponte tra parola ed immagine, tanto inchiostro bianco su supporti neri.

Ben battezza con la propria scrittura ogni sorta di oggetto, anche il più insignificante, le sue composizioni pittoriche dialogano in continua evoluzione tra la parola e i materiali su cui dipinge. Grande ammiratore di Marcel Duchamp, promuove negli anni Ottanta una neonata tendenza pittorica: la Figuration libre, simile al lettrismo, movimento fondato sull’idea di decostruire il linguaggio e la pittura trasformandoli in poliscrittura.

L’artista intraprende parecchie collaborazioni con figure affermate quali Ugo Nespolo, Mario Merz, Plinio Martelli, con cui diede vita ai festival internazionali Fluxus anche se la sua storia fu un susseguirsi di continue rotture, ossessionata dal tentativo di mettere in dialogo e in discussione tra loro arte, cultura e istituzione; contraddizioni e polemiche dissacranti.

Ben non accetterà mai per la propria arte una precisa definizione concettuale, si muove senza pregiudizi tra le esperienze delle Avanguardie precedenti ed un nuovo sistema che metta al primo posto un inedito atteggiamento sulla vita, capace di inglobare qualsiasi espressione idealistico-artistica.

L’arte ibrida e la sua filosofia terminano in modo tragico all’età di 88 anni; dopo poche ore dalla scomparsa della moglie, Ben si toglie la vita nella città di Nizza, lasciandoci tanta tanta parola scritta, tanta irriproducibile calligrafia, infiniti pensieri distopici con cui ha cercato di comunicare il suo iperbolico pensiero artistico, sempre però in grado di comunicare in modo attivo con il suo pubblico.

Il libero pensatore dice: rottura è una parola chiave, vogliamo essere tutti delle rotture, non giocare al gioco, non fare come gli altri. E’ sufficiente sfogliare cento cataloghi d’Avanguardia per vedere che è sempre la stessa cosa, delle variazioni su tutto il possibile di Duchamp, di Kandinsky e del denaro.

Novembre 2024 – Silvana Piatti Grafologa esperta in Firmologia d’Arte